La parità di genere è da decenni uno dei temi più caldi nel mondo dello sport e il tennis rappresenta uno dei pochi ambiti dove le donne sono riuscite a conquistare spazi e riconoscimenti paragonabili a quelli degli uomini. Tuttavia, la strada verso una reale equità, soprattutto per quanto riguarda i montepremi tra ATP e WTA, è stata lunga, complessa e ancora oggi oggetto di discussione. In questo articolo andremo ad analizzare l’evoluzione della parità di genere nel tennis, con una particolare attenzione sui montepremi, sulle battaglie storiche e sulle sfide attuali.
La nascita della disparità
Il tennis è stato uno degli sport pionieri nella promozione della partecipazione femminile. Già nei primi decenni del Novecento, atlete come Suzanne Lenglen e Helen Wills si distinguevano nel circuito internazionale. Nonostante ciò, per molto tempo, la loro presenza rimase marginalizzata e sottopagata.
Negli anni ‘60 e ‘70, il divario nei premi era enorme. I tornei destinavano solo una piccola parte dei montepremi alle donne, nonostante la crescente popolarità del tennis femminile. Nel 1970, ad esempio, al torneo Pacific Southwest Open, il montepremi maschile era di 12500 dollari, mentre quello femminile si fermava a 1500.
Billie Jean King e la fondazione della WTA: la rivoluzione
Il nome di Billie Jean King è inscindibile dal concetto di parità di genere nel tennis. Nel 1973, King guidò la fondazione della Women’s Tennis Association (WTA), un’organizzazione che dava finalmente voce e potere contrattuale alle tenniste. Nello stesso anno, vinse la celebre Battaglia dei Sessi contro Bobby Riggs, dimostrando non solo la superiorità atletica, ma anche l’importanza simbolica dell’uguaglianza di genere.
La sua battaglia proseguì sul fronte economico: grazie alla sua pressione, lo US Open divenne nel 1973 il primo torneo del grande slam a offrire premi uguali a uomini e donne. Un passo epocale, ma ancora isolato per molto tempo.
L’evoluzione dei montepremi: una conquista graduale
Nonostante il traguardo dello US Open, ci sono voluti decenni prima che gli altri tornei del grande slam si allineassero.
Australian Open: parità raggiunta nel 2001.
Roland Garros: montepremi uguali dal 2006.
Wimbledon: l’ultimo a uniformarsi nel 2007, dopo forti pressioni mediatiche e politiche.
Oggi, i tornei dello slam garantiscono lo stesso montepremi per il vincitore maschile e femminile. Tuttavia, questa uguaglianza esiste solo nei tornei di maggiore rilevanza. Nei tornei di livello inferiore, come quelli ATP250 o WTA250, la disparità può ancora essere evidente.
Meritocrazia o sessismo?
Il dibattito sulla parità dei premi non è mai cessato. I critici sostengono che gli uomini giochino match più lunghi (al meglio dei cinque set negli slam) e attirano più spettatori e sponsor, giustificando così montepremi maggiori. Queste argomentazioni, però, sono facilmente confutabili.
Infatti, nei tornei che non sono del grande slam, anche gli uomini giocano al meglio dei tre set. Eppure, spesso i premi restano più alti per loro. Anche la popolarità può essere facilmente attaccabile. Tenniste come Serena Williams, Naomi Osaka, Maria Sharapova o Iga Świątek hanno una popolarità e una forza commerciale pari, se non superiore, a molti colleghi maschi. Nel 2021, Naomi Osaka è stata l’atleta femminile più pagata al mondo, con oltre 60 milioni di dollari in guadagni.

Sponsor e diritti TV meritano un capitolo a parte. Gli sponsor sono attratti da storie, personalità e immagine, non necessariamente dal sesso dell’atleta. Il tennis femminile ha prodotto icone globali, contribuendo enormemente alla visibilità dello sport.
L’impatto sociale e culturale
Il raggiungimento della parità nei montepremi ha un valore che va ben oltre lo sport. È un messaggio culturale potente: il lavoro delle donne ha lo stesso valore di quello degli uomini. Il tennis ha offerto un modello replicabile anche in altri sport, dove la disparità economica è spesso ancora più marcata (come nel calcio, nel basket o nel ciclismo). Inoltre, le tenniste sono diventate modelli di leadership femminile, ispirando milioni di ragazze nel mondo a lottare per i propri diritti.
ATP e WTA, due mondi ancora separati
Nonostante la convergenza nei premi, ATP e WTA restano due entità separate, con calendari, strutture e strategie differenti. Negli ultimi anni si è parlato della possibilità di una fusione tra i due circuiti, per creare un’unica organizzazione che rappresenti tutti i professionisti del tennis.
Una fusione potrebbe portare a maggiore equità economica, semplificare la fruizione del tennis da parte dei fan e dare maggiore forza contrattuale agli atleti di entrambi i generi. Tuttavia, restano ostacoli logistici, politici e finanziari.
Le sfide ancora aperte
Sebbene il tennis abbia fatto passi avanti significativi, restano alcune criticità da affrontare. Su tutte la disparità nei tornei minori. Molti tornei non dello slam, infatti, continuano a offrire premi più bassi alle donne. La copertura mediatica, come abbiamo ben potuto vedere anche negli ultimi Internazionali d’Italia (al di fuori delle atlete azzurre). Gli eventi maschili ricevono spesso maggiore attenzione da parte dei media.
Gli stereotipi culturali, però, la fanno ancora da padrone. Le tenniste sono ancora giudicate spesso più per l’estetica che per le prestazioni. Vi ricordate le parole di Sorana Cirstea circa l’attenzione degli sponsor (Adidas in quel caso) più alla bellezza delle ragazze che al valore tecnico.

Un esempio da seguire e non un’eccezione
Il tennis è senza dubbio uno degli sport che più si sono avvicinati alla parità di genere, soprattutto in termini di premi e riconoscimenti. Non deve, però, essere considerato un’eccezione, bensì un esempio da seguire.
La strada verso la piena equità passa non solo attraverso l’uguaglianza economica, ma anche tramite rappresentanza, rispetto e visibilità. Le storie di Billie Jean King, Serena Williams, Naomi Osaka e molte altre dimostrano che il talento non ha genere e che lo sport può essere uno strumento potentissimo di trasformazione sociale.