13 Giugno 2025

Stefano Minnucci

Wta, maternità garantita e dubbi morali: il fondo saudita che scuote il tennis femminile

Forse non tutti sono a conoscenza che lo scorso 6 marzo, durante l’Indian Wells, la WTA ha varato il PIF WTA Maternity Fund, un fondo – prima caso nella storia di uno sport individuale – che offre a oltre 320 giocatrici un congedo di maternità retribuito fino a 12 mesi. Una mossa rilevante e degna di nota per il welfare femminile, a cui si è aggiunta pochi giorni fa la notizia, sempre targata Wta, di proteggere la classifica delle atlete che sospendono l’attività (almeno dieci settimane) per sottoporsi a procedure di crioconservazione di ovuli o embrioni.

Il tennis femminile si batte dunque per i diritti delle donne. A dire il vero lo fa da ben prima che Billie Jean King sconfisse Bobby Riggs nella famosa “battaglia dei sessi” di 50 anni fa (1973). La WTA è stata infatti una delle principali promotrici del Titolo IX, la legge statunitense che ha garantito a milioni di donne e ragazze pari opportunità nello sport e nell’istruzione.

Ma il programma PIF WTA Maternity Fund, che segna senza dubbio un precedente importante per le atlete, porta con sé il peso di una sponsorizzazione che divide molto l’opinione pubblica. Quel PIF, davanti al nome del progetto, sta infatti per “fondo sovrano dell’Arabia Saudita”. Uno dei più grandi fondi sovrani del mondo, con un patrimonio totale stimato di oltre 925 miliardi di dollari. E le organizzazioni che vigilano sui diritti criticano la scelta di accostare il progetto di welfare alla repressiva Arabia Saudita, dove il sistema di tutela maschile nega alle donne i diritti umani fondamentali.

C’è da dire che il sostegno saudita non si ferma al congedo maternità: dal 2024 al 2026 il circuito ha spostato le WTA Finals a Riyadh, con un montepremi che ha già superato i 15 milioni di dollari e può toccare i 5,1 milioni per l’imbattuta campionessa. Sul fronte maschile, l’ATP ha confermato di lavorare con PIF per lanciare un Masters 1000 in Arabia Saudita nel 2028, segno di una strategia ormai trasversale. Discorso che vale anche per altri sport.

L’accusa di «sportswashing»

Organizzazioni come Human Rights Watch e la Sport & Rights Alliance parlano apertamente di tentativo di ripulire l’immagine del Regno utilizzando eventi di primo piano, ricordando le restrizioni sui diritti delle donne e della comunità LGBT+ ancora in vigore. L’evento di Riyadh, in particolare, viene criticato per l’assenza di una due diligence sui rischi per atlete e giornalisti.

Ma se l’iniziativa su fertilità e maternità retribuita, in fin dei conti, permetterà di aiutare tante ragazze a conciliare la vita familiare con lo sport professionistico, perché non accettare l’aiuto del fondo saudita? Certo, bisognerà chiarire diversi aspetti. Ad esempio, per quanto riguarda l’assegnazione delle Finals, la Human Rights Watch ha scritto alla WTA il 4 aprile scorso chiedendo quale due diligence sui diritti umani la WTA avesse fatto con i difensori dei diritti delle donne sauditi e altri stakeholder chiave, prima della decisione di assegnare le finali all’Arabia Saudita. Ebbene la WTA non ha ancora risposto a queste domande.

Il momento giusto per ospitarle, secondo la Sport & Rights Alliance – grande coalizione di organizzazioni per la difesa dei diritti – sarebbe quando la WTA avrà adottato una politica sui diritti umani, quando le giocatrici professioniste saranno consultate, quando giocatrici, tifosi e giornalisti non correranno rischi nel sostenere i diritti delle persone LGBT e quando tutte le donne saudite, comprese quelle in prigione o soggette a divieti di viaggio, saranno libere di difendere i propri diritti umani.

Family Focus della WTA

Tornando al congedo di maternità, va detto che fa parte di un programma più ampio, WTA Family Focus, pensato per consentire alle giocatrici di programmare la propria vita familiare senza compromettere la carriera. Il pacchetto comprende:

  • Special Ranking – Protegge la classifica fino a tre anni dopo la nascita del figlio, garantendo l’accesso agli stessi tornei del pre‑stop.
  • Sostegno economico – Il nuovo PIF WTA Maternity Fund assicura fino a 12 mesi di stipendio continuativo.
  • Servizi on‑tour – Nursery itineranti, counsellor dedicati e voucher per baby‑sitting durante gli Slam.

Dal 2019 a oggi 50 tenniste hanno sfruttato la special ranking; con il fondo appena varato la WTA prevede un aumento del 35 % di rientri entro il terzo trimestre post‑parto entro il 2027.

Il caso Bencic: stress‑test riuscito – Il primo “crash test” del fondo è arrivato a febbraio, quando Belinda Bencic, 24 settimane dopo il parto, ha vinto il WTA 500 di Abu Dhabi. «Sapere di avere un reddito garantito mentre allatti alle tre di notte toglie un peso enorme», ha raccontato l’elvetica, definendo l’iniziativa «un game‑changer per la nostra generazione».

Voci dal tour

Aryna Sabalenka (n. 1): «Con PIF possiamo puntare a montepremi finalmente paragonabili all’ATP».

Portia Archer (CEO WTA): «Il welfare non è un costo, è un investimento in longevità di carriera».

Victoria Azarenka: «Chi parla di sportswashing dimentica che qui si finanzia anche l’indipendenza economica delle atlete».

 

Numeri del rientro post‑parto

Giocatrice Tempo dal parto al rientro Ritorno in Top 100 Titoli vinti post‑rientro
Clijsters 6 mesi Sì (n. 14) 3 Slam
Svitolina 9 mesi Sì (n. 26) 1 WTA 500
Osaka 8 mesi No
Bencic 4 mesi Sì (n. 48) 1 WTA 500

Fonte: WTA Family Focus, aggiornato a maggio 2025.

Con i nuovi incentivi la WTA prevede che il tempo medio di ritorno nella Top 100 scenda da 8 a 6 mesi entro il 2027.

E adesso?

Il board WTA discuterà a ottobre l’estensione del fondo a:

  1. Adozioni – Equiparare i benefit alle neo‑madri biologiche.
  2. Assicurazione infortuni di lungo termine – Modello di protezione salariale analogo.

Il tennis femminile si scopre così laboratorio sociale: beneficeranno prima di tutto le atlete, ma se la formula funzionerà potrebbe diventare un benchmark per l’intero sport.

Si può dire in definitiva che il PIF WTA Maternity Fund inaugura in qualche modo un nuovo standard di welfare per le atlete, ma allo stesso tempo getta anche un’ombra legata alle politiche del suo finanziatore. Il tennis femminile si trova dunque al crocevia, saranno i prossimi anni a dire se questa rivoluzione verrà ricordata come conquista sociale o compromesso etico.