Djokovic in campo a Miami

16 Giugno 2025

Stefano Minnucci

La fiamma di Djokovic arde ancora: ‘Ho sempre il fuoco dentro, ecco a cosa punto’

Ce lo immaginiamo il 24-volte campione Slam, Novak Djokovic, picchiettare la racchetta sul palmo sinistro, mentre si allena, fissando la linea di fondo e ripetendo meccanicamente il gesto del servizio. Guardando avanti, riflettendo rigorosamente sul suo futuro, non sul suo passato, e pensando tra sé e sé: “Mi piace ancora vincere con una racchetta in mano. Quel fuoco è ancora dentro di me”. Pensieri e parole che Nole ha confessato qualche ora fa al podcast serbo (Ne)uspjeh prvaka.

Nell’intervista rilasciata è stato chiaro: “Amo il tennis e mi piace ancora prendere in mano una racchetta. L’unica cosa che ho in testa, l’unica che mi motiva davvero, sono i Giochi di Los Angeles 2028” ha confessato. Una frase lapidaria, rilanciata dal Daily Mirror e ripresa dai siti di mezzo mondo, che basterebbe da sola a spiegare perché, a 38 anni, il fuoco non si sia ancora spento.

Se Djokovic manterrà il proprio standard d’élite, si presenterà ai Giochi californiani con 41 primavere sulle spalle, mentre Carlos Alcaraz e Jannik Sinner ne avranno appena 25 e 26. Al Roland Garros il serbo ha appena collezionato la centesima vittoria nello Slam parigino – traguardo raggiunto prima solo da Nadal e Federer – prima di arrendersi a Sinner in una semifinale dai tratti epici. Il ranking, oggi, è ancora alto, n. 5 del mondo, in un tabellone dominato proprio dal ventitreenne Sinner e dal ventiduenne Alcaraz.

L’oro di Parigi come preludio e una stagione di scossoni

Djokovic in azione col dritto alle Olimpiadi di Parigi
Foto “X” Djokovic

L’ossessione olimpica non nasce dal nulla. A Parigi 2024, sul rosso del Philippe-Chatrier, Djokovic ha finalmente messo al collo quell’oro che gli mancava, piegando Alcaraz in due tie-break da antologia. Chi era sugli spalti ricorda l’urlo liberatorio, quasi primordiale, che accompagnò la premiazione: una catarsi lunga sedici anni dopo il bronzo di Pechino 2008.

Il 2025 gli ha già presentato qualche conto salato. A Melbourne ha dovuto ritirarsi in semifinale contro Zverev per un guaio alla gamba sinistra, mandando in frantumi il sogno del 25° Slam. Nel frattempo si è anche chiusa la parentesi-flash con Andy Murray, arruolato come coach per appena sei mesi e salutato alla vigilia del Roland Garros dopo una serie di risultati poco brillanti.

Eppure, tra un recupero e l’altro, Djokovic continua ad aggiungere pagine alla propria leggenda: è a quota 100 titoli ATP, nove in meno dal record assoluto di Jimmy Connors, e il conteggio resta aperto.

A chi gli domanda come si mantenga competitivo oltre ogni logica anagrafica, il serbo risponde parlando di “pratica quotidiana di consapevolezza”: nutrizione, respirazione, meditazione. «Il benessere è un esercizio di presenza, non un traguardo», ha spiegato in un’intervista dedicata al wellness.

Los Angeles all’orizzonte

Los Angeles, dunque. Il villaggio olimpico sul Pacifico, le notti di agosto in cui la brezza dall’oceano mitiga la calura californiana. Lì Djokovic sogna di difendere l’oro conquistato a Parigi, consapevole che soltanto Andy Murray – ironia della sorte, l’ultimo ad averlo guidato dalla panchina – è riuscito finora a vincere due volte di fila il torneo olimpico di singolare.

Il bambino che, a Kopaonik, colpiva palline contro le serrande del piccolo ristorante di famiglia sembra ancora perfettamente vivo dietro lo sguardo duro del veterano. «Amo il tennis e la sensazione della racchetta in mano – ripete Novak nel podcast –. Finché quel legame resterà, resterà anche il fuoco». I chilometri sul tachimetro aumentano, le generazioni passano, ma la fiamma – per ora – continua a bruciare.