Taro Daniel

26 Giugno 2025

Giuseppe Canetti

Il tennis non è uno sport “popolare”. L’ennesima testimonianza arriva da Taro Daniel

Ci risiamo. In queste ore è arrivata l’ennesima conferma che la vita di un tennista non è poi così semplice e che il tennis ancora non può definirsi uno sport “popolare”.

Non bastasse l’essere soli in campo, e sempre sotto pressione. Esistono numerosi aspetti che gravano sulla carriera dei protagonisti del nostro amato sport. Le rinunce, la mancanza di casa, i sacrifici che col passare del tempo diventano sempre più insostenibili. A volte si dicealmeno guadagnano tanti soldi. Ebbene, questo non è certamente un discorso valido in ottica generale. Tutt’altro.

Taro Daniel
Foto Instagram Daniel

Da recenti stime, infatti, è emerso che solo una piccola minoranza di tennisti professionisti si arricchiscono giocando a tennis. Il “cut-off” si aggira tra i primi 150-200 giocatori al mondo. Gli altri vivono spesso una situazione economica turbolenta, e a volte le difficoltà riguardano anche chi rientra nella fascia sopracitata. Lo si evince dalle dichiarazioni rilasciate dal giapponese Taro Daniel ai microfoni del Financial Times.

Taro Daniel e le difficoltà economiche dei tennisti di “seconda fascia”

“Si tratta di cifre assolutamente irrealistiche, perché intanto i soldi vengono guadagnati all’estero, quindi il premio è tassato alla fonte. Il tennista è una piccola azienda, ma con tutti i dipendenti che viaggiano continuamente”, esordisce Il 32enne newyorkese naturalizzato nipponico. Un coach può costare 50.000 dollari all’anno, più il 10% dei montepremi. Per questo la spesa si aggira intorno ai 100.000 dollari annui, e non certo per un coach esperto”, aggiunge.

Come noto la maggior parte degli eventi assicura ai tennisti almeno l’alloggio (spesso anche il vitto), ma non garantisce gli stessi confort allo staff che è a loro seguito. Solamente di spese operative un giocatore normale spende circa 20mila dollari al mese, tra cibo, hotel e spostamenti. Quando ero giovane rinunciavo all’avocado, perché costava qualche dollaro di troppo”, sottolinea Daniel.

Un altro problema è quello relativo a voli e trasferimenti, che sono tutti a carico del tennista. E non è possibile nemmeno risparmiare prenotando con largo anticipo, dal momento che la programmazione dipende esclusivamente dai risultati. “Un volo last minute da Indian Wells a Miami costa almeno 500 dollari, e la maggior parte dei giocatori porta con sé due persone più un bagaglio extra per racchette e attrezzatura. Insomma, un viaggio di sola andata e completamente “interno” agli Stati Uniti può arrivare a costare fino a 2.000 dollari, rivela l’attuale numero 157 al mondo (ex 58 Atp).

In tale contesto travagliato, c’è inoltre da fare i conti con alcuni sponsor ‘poco informati’ che tengono presente solo di quanto accade nel circuito Atp. “Con queste vittorie gli sponsor capiscono che sono un vero professionista, perché se dici che hai vinto 20 Challenger è possibile che ti chiedano che cosa sia esattamente un Challenger, racconta Daniel.

Il nipponico, poi, tira le somme affermando che la spesa annuale di un tennista è di circa 440mila dollari: 100.000 per coach e preparatore, 70.000 di bonus sui montepremi, 30.000 per lo staff e 240.000 tra spese varie e costi operativi. Cifre da incubo per la stragrande maggioranza dei giocatori, che suggeriscono la necessità di intervento da parte dei vertici del tennis mondiale.

La soluzione di Daniel

Che tipo di intervento? Secondo Daniel, una parziale soluzione ai problemi economici dei tennisti non di primissima fascia potrebbe essere la seguente:

I quattro tornei dello Slam attirano un giro di denaro mostruoso, incassando una cifra compresa tra i 350 e i 500 milioni di dollari all’anno. Penso che la soluzione più giusta sia quella di dividere una parte di quella torta, dando 100mila dollari a testa a tutti i primi 300 o 400 tennisti del ranking mondiale. Questo compenso verrebbe fornito dalle varie associazioni, dagli Slam, da WTA e da ATP, si tratterebbe di circa 8 milioni da ognuna delle organizzazioni, mi sembra un’operazione di buon senso e assolutamente praticabile”.